Per saperne di più, Attacco del 30 aprile 1849

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La mattina del 30 aprile, “Appena l’uffiziale posto a vedetta in cima alla cupola di San Pietro accennò lo appressarsi dei Francesi i campanoni del Campidoglio e di Montecitorio chiamarono a raccolta; della qual cosa menavano i nemici inestimabile allegrezza, taluno reputando che sonassero l’Angelus, altri a gloria per riceverli in trionfo. ( … ) Ma il cannone del Calandrelli ecco che arriva a levar via lo inganno delle campane: due palle una sopra l’altra aprono un pertugio sanguinoso nella colonna stipata che si avanza. Allora gli assalitori sbandaronsi pei vigneti, o ripararono dietro gli archi dell’acquedotto dell’acqua Paola, altri sparpagliaronsi su i clivi fiancheggianti la strada (…) Però dietro ai muri gli assalitori presero a trarre colpi, pur troppo bene aggiustati, attesa la loro prestanza, e la bontà delle armi. Il sangue, che primo lavò le mura di Roma dalla secolare infamia, fu versato da Paolo Narducci romano(..) ; altri pure, massime artiglieri, lamentammo noi morti o feriti, i nomi dei quali sommerse nelle sue acque buie l’oblio; di qui nasce, e non fare a meno, scompiglio; il fuoco delle nostre batterie rallenta, di che approfittansi gli avversari i quali, così ordinando il capo di squadrone artiglieria Bordeaux, piantano su certa altura due cannoni; da questa però poco frutto cavavano, lontan dal bastione 900 e più metri; allora partonsi di galoppo con altri due pezzi di artiglieria, e non curando mitraglie, corrono gli artiglieri francesi a collocarne altri due dietro il riparo di un arco degli acquedotti; i nostri, consolata un po’ la tristezza, ripigliano il trarre; (…) I Francesi, obbedendo ai comandi del Capitano, senza stringere il ciglio secondoché vogliono la disciplina militare e il proprio ardimento, attraverso un turbine di ferro e di fuoco si avventano contro i bastioni: erano due reggimenti di linea, il 20 e il 33; li conduceva il generale Molliere cercando una via per penetrarci dentro; i bersaglieri francesi rincalzavano l’audace impresa con lo spesseggiare di mortalissimi tiri (..); insomma per essi tanto si operò che uno dei nostri cannoni tacque per manco di artiglieri; tacque, ma per poco, ché sottentrano ai caduti il soldato De Stefanis, il caporale Ludovich, e il capitano Leduc con sorte punto migliore dei primi, però che entrambi stramazzassero a piè del pezzo colpiti nel petto; Leduc nacque belga, ma dove si combatteva per la libertà quivi era la sua patria (a Leduc è oggi intitolato un viale di Villa Sciarra) (..); dalle mura di Roma grandina ferro, ché il celere trarre risponde al palpito concitato, né ci resistono i Francesi, i quali laceri, duramente respinti danno indietro addopandosi alle asperità del terreno, o cercando in luoghi meno esposti riparo. Ira fosse o virtù tornano ad arroventarsi i Francesi, che balzando fuori dai ripari con raddoppiato ardire piantano cannoni nel bel mezzo della strada; un’altra batteria assestano sopra la terrazza di una casa, e due volte irrompono contro le mura, e due infrangendocisi dentro si ripiegano addietro scemi di morti, e grondanti sangue. (..)

Intanto il Garibaldi dall’alto del Casino dei Quattro Venti notava l’assalto, e il rincalzo dei francesi, sicché gli parve cotesto tempo da mostrarsi percotendo il fianco: però spinse fuori della Porta San Pancrazio alcuni drappelletti dei suoi legionari alla spicciolata, affinché cauti ed improvvisi cascassero addosso al nemico, il quale dal canto suo stando su l’avvisato, accortosi della insidia, spiccò senza indugio un rinforzo per sostenere i cacciatori di Vincennes commessi alla difesa di quel lato, onde non venissero sopraffatti.(…) [Garibaldi] chiamato rinforzo e venuto da Roma condotto dal Colonnello Galletti, si scaglia con nuova lena contro i Francesi, i quali sopraffatti si ritirano.”

(Francesco Domenico Guerrazzi: Lo assedio di Roma, Milano 1870, p. 699 - 707)

La giornata del 30 aprile fu così vissuta da Emilio Dandolo, luogotenente del battaglione Bersaglieri Lombardi, rimasto di riserva a Piazza San Pietro:

“La mattina del 30 a 11 ore il campanone del Campidoglio e di Monte Ciborio diedero il segnale dell’allarme; pochi minuti dopo cominciò a tuonare dalle mura il cannone e la moschetteria nella campagna. (..) Ai primi colpi di cannone il popolo si recò in folla ed armato verso Porta Cavalleggeri; le donne dalle finestre facevan coraggio agli accorrenti; i saluti, gli evviva, la risoluta allegria erano grandissimi. La truppa di riserva stava schierata in buon ordine in Piazza San Pietro e sembrava impaziente di far qualche cosa (..) I Francesi s’erano avvicinati alle mura spensieratamente e in piccolo numero. Assaliti impetuosamente dalla Legione Garibaldi sostenuta dai coraggiosi carabinieri, benché resistessero essi in principio col solito loro coraggio, furon costretti a volgere addietro in disordine, lasciando nelle mani dei Romani 520 prigionieri, molti morti e qualche ferito. E’ impossibile descrivere l’entusiasmo di Roma a siffatte notizie. Tutti si preparavano lietamente ad un secondo assalto; ed io sono persuaso che se Oudinot, invece di cambiar affatto sistema e di avvicinarsi lentamente alle mura coi lavori di approccio, tentava un secondo assalto più vigoroso, sarebbe stato accolto colla più ostinata ed onorevole resistenza”

(“I VOLONTARI ED I BERSAGLIERI LOMBARDI annotazioni storiche di EMILIO DANDOLO". Ripubblicato a cura della contessa Luisa Casati Neuroni. Milano, 1917, p.153 – 156)