Intervento Natalini sulla Repubblica Romana 2 Luglio 2009

ASSEMBLEA aperta al pubblico “DIECI ANNI DI IMPEGNO”
2 luglio 2009

L’ECCEZIONALITA’ DELLA REPUBBLICA ROMANA DEL 1849
intervento di Guglielmo Natalini

Ancora oggi “è successo il quarantotto” è una locuzione d’uso corrente per indicare una successione di avvenimenti contrassegnati da moti rivoluzionari che hanno provocato radicali cambiamenti delle realtà sociali.
Il 1848 fu l’anno in cui entrarono in crisi gli equilibri politici e istituzionali restaurati nel 1815 dal Congresso di Vienna, dopo il ciclone napoleonico che aveva squassato l’Europa.
A differenza del passato, i primi moti rivoluzionari si accesero in Sicilia, si estesero al napoletano finoa quando l’atterrito Ferdinando di Borbone si decise a concedere la Costituzione.
Dopo poche settimane, la spinta popolare costringeva il re Carlo Alberto in Piemonte, il granduca Leopoldo in Toscana e il Papa Pio IX a Roma, a concedere gli Statuti che ponevano fine ai regimi assolutistici.
A Roma era stato così gettato il seme che avrebbe portato l’anno successivo alla nascita della Repubblica.
Il voltafaccia di Pio IX che aveva prima benedetto e poi ostacolato la partecipazione alla guerra del Piemonte contro l’Austria, alimentava la spinta dei Circoli popolari sia per la causa dell’indipendenza nazionale sia per la convocazione della Costituente.
L’assassinio di Pellegrino Rossi chiamato a presiedere un governo moderato inviso sia ai rivoluzionari sia ai conservatori, convinse Pio IX a fuggire da Roma per cercare rifugio a Gaeta.
Si creava un vuoto istituzionale dalle conseguenze imprevedibili per la richiesta del Papa a Francia, Austria, Spagna di un intervento per il ripristino del potere temporale.
In questo frangente emerge il primo aspetto di eccezionalità nel processo destinato a portare alla proclamazione della Repubblica.
In luogo di prevedibili colpi di stato rivoluzionari, una Commissione di Governo promulgava la legge per la convocazione di un’Assemblea Costituente da eleggere, per la prima volta in Italia, a suffragio universale.
Il 21 e 22 gennaio del 1849 si votò a Roma e nelle provincie dello Stato romano con l’elevato afflusso alle urne di 250.000 elettori, in clima di tranquillità.
A Macerata con Garibaldi risultarono tra i primi eletti Benedetto Zampi e Mattia Montecchi, ad Ancona Filippo Camerata, ad Ascoli Candido Augusto Vecchi, a Pesaro Terenzio Mamiani.
Il 5 febbraio l’Assemblea Costituente si insediava e il ministro Armellini con un infiammato discorso esaltava l’altro eccezionale carattere della Repubblica che nasceva, quale il richiamo all’unità d’Italia “Voi sedete , o cittadini, tra i sepolcri di due grandi epoche.
Dall’ una parte vi stanno le rovine dell Italia dei cesari, dall’ altra le rovine dell’Italia dei papi; a voi tocca elevare un edificio che possa posare su quelle macerie e possa fiammeggiare degnamente sul terreno ove dorme il fulmine dell ’aquila romana e del Vaticano, la bandiera dell’ItaIia e del popolo “.
Il 9 febbraio l’Assemblea recideva i legami con lo stato Pontificio proclamando: – Il Papato è decaduto di fatto e di diritto dal governo temporale – La forma di governo dello Stato Romano sarà la democrazia pura e prenderà il glorioso nome di Repubblica Romana. —
La giovane Repubblica, alla prese con i gravi problemi di governo di uno stato dissestato, dovette subito occuparsi degli incombenti interventi stranieri implorati dal Papa in esilio.
L’arrivo a Roma di Mazzini e la sua nomina a Triumviro insieme con Saffi e Armellini, dava impulso alle iniziative militari, tra le quali il richiamo a Roma della Legione Italiana di Garibaldi che si era costituita a Macerata, tra mille difficoltà e diffidenze.
Molti altri volontari affluivano a Roma sia dalle provincie romane sia da altre parti d’Italia e questo rappresenta l’altra maggiore caratteristica di eccezionalità della Repubblica Romana, nell’ambito della storia risorgimentale.
Dopo secoli, gli Italiani accorrevano per combattere in difesa della Città Eterna che non era la loro città, nella speranza che tornasse ad essere la loro capitale.
Il 24 aprile una squadra navale sbarcava a Civitavecchia il corpo di spedizione comandato dal generale Oudinot, che in un primo momento dichiarava di essere venuto per favorire.
La restaurazione del potere temporale del Papa e salvaguardare al tempo stesso, le conquistate libertà costituzionali.
La proposta di un ingresso pacifico in città è respinta dall’Assemblea Costituente che con delibera unanime, orgogliosamente risponde — “debba il Triumvirato salvar la Repubblica respingendo la forza con la forza” –
A maggiore disdoro lungo la via Aurelia che i francesi dovevano percorrere, furono affissi cartelli con la trascrizione dell’a1ticolo V della loro Costituzione – ” La repubblica Francese rispetta le nazionalità straniere e non impiega giammai le sue forze contro le libertà di verun popolo” –
Oudinot nella convinzione che l’assalto a Roma si sarebbe risolto in una parata militare, non aveva predisposto nemmeno un’ispezione sul luogo di battaglia.
Il piano prevedeva un assalto congiunto alle porte Cavalleggeri e porta Pertusa, ignorando che quest’ultima era stata murata da due secoli.
Per due volte tentarono invano la scalata alle mura con rampini, sotto il tiro dei cannoni e dei fucilieri al riparo dei bastioni di San Pietro e Santa Marta.
Fu tentato un disperato aggiramento delle mura vaticane per un attacco diversivo a porta Angelica, con i francesi costretti ad arrampicarsi per scoscesi sentieri sotto il fuoco dei difensori.
Garibaldi che per la prima volta combatteva in Italia, colse a volo il momento critico dei francesi e da villa Panfili guidò personalmente un violento assalto alla baionetta, alla testa della Legione Italiana e del battaglione degli Studenti.
Il generale Oudinot resosi conto del disastro incombente, ordino la ritirata generale sulla strada verso Civitavecchia.
Garibaldi voleva inseguirli ma fu fermato da un ordine di Mazzini che non voleva ferire a morte l’0rgoglio francese, nella speranza che il parlamento di Parigi si ricredesse sugli scopi dell’ambiguo intervento.
Il govemo francese, in notevole difficoltà per le critiche dei partiti di sinistra e nell’attesa del rinnovo del parlamento, decise di inviare a Roma l’ambasciatore Lesseps per una missione diplomatica volta solo a guadagnare tempo.
Da quel giorno i francesi iniziarono l’invio di nuove truppe e sopra tutto dei grossi cannoni d’assedio. D’altra parte la Repubblica Romana doveva subito affrontare la minaccia dell’esercito borbonico già avanzato fino ai Castelli Romani a poche miglia da Roma, mentre gli austriaci dilagavano dal nord, conquistando Bologna il l6 maggio e proseguendo per porre Ancona sono un ferreo assedio terrestre e navale.
La sera del 16 maggio una colonna repubblicana usciva da porta San Giovanni per arrivare due – giorni dopo a Valmontone, di fronte a Velletri dove era concentrato il grosso dell’esercito napoletano.
Il mattino seguente Garibaldi, avendo appreso che il nemico iniziava ritirarsi, decideva di avanzare alla testa di un piccolo drappello, senza attendere l’arrivo del grosso dell’esercito al comando del generale Roselli.
Seguì uno scontro con uno squadrone di cavalleggeri napoletani in cui Garibaldi ferito e sbalzato di sella, fu salvato dall’accorrere dei suoi legionari.
Nella notte i napoletani, atterriti dall’idea di affrontare i romani in campo aperto, evacuavano Velletri per rientrare precipitosamente entro i confini del loro regno.
Garibaldi voleva inseguirli ma fu richiamato a Roma dove la minaccia francese tornava incombente.
Il governo francese aveva rifiutato la proposta di accordo scaturita dai negoziati tra Mazzini, Lesseps e il generale Oudinot notificava la data del 4 giugno per la ripresa delle operazioni belliche.
I francesi tradendo la tregua dichiarata, attaccarono nella notte del 3 giugno e cogliendo di sorpresa gli addormentati difensori, s’impadronirono di villa Panfili, del convento di San Pancrazio di villa Corsini, posizioni chiave della linea di difesa esterna alle mura.

Garibaldi svegliato nel cuore della notte, si precipitò a porta San Pancrazio e iniziò a sferrare una serie di contro attacchi con la Legione Italiana prima e con i Bersaglieri lombardi di Manara, presto accorsi.
Due volte villa Corsini fu ripresa e di nuovo perduta, fino a che la sera calò sul campo di battaglia coperto di morti e feriti, per gran parte romani.
La sorte di Roma era segnata e iniziava l’assedio, l’ultimo nella storia millenaria di Roma e nel suo corso, si consolida un altro carattere eccezionale della Repubblica Romana.
E’ una battaglia senza speranza sotto la pioggia di granate dei grossi cannoni di assedio che sbriciolano le mura gianicolensi.
I francesi avevano previsto di entrare a Roma in pochi giorni ma saranno inchiodati per un mese dalla disperata resistenza di difensori che non si ritiravano, anche quando rischiavano di rimanere sepolti sotto la macerie.
Era presente a tutti che la Repubblica Romana non poteva sopravvivere all’attacco di tre eserciti stranieri inviati da Francia, Austria e Spagna, ma la risposta a chi chiedeva se il resistere avesse un senso era una sola: combattiamo per l’oggi ma sopra tutto per il domani, per dare un esempio e gettare il seme che germoglierà in un prossimo futuro.
Stiamo dimostrando all’Europa che gli italiani, sprezzantemente insultati come “il popolo dei morti” e come abitanti non di una nazione ma di una terra ridotta a sola “espressione geografica”, erano accorsi a Roma per difendere la Città, che per la storia millenaria tornava configurarsi come la capitale dell’ltalia riunificata.
Per unirsi ai romani rispondendo al richiamo della Città Eterna, era accorso da molte regioni d’Italia il meglio della gioventù patriottica, come si legge scorrendo i nomi dei caduti sulle lapidi del Sacrario a San Pietro in Montorio.
Per la storia tra i caduti per la difesa della Repubblica si annoverano 232 emiliani—romagnoli, 208 laziali, 121 marchigiani, 68 umbri , 121 lombardo-veneti e alcune decine dal Piemonte, Liguria, Toscana con presenze anche da Campania, Abruzzo e Calabria.
Luciano Manara eroe delle 5 giomate di Milano accorso a Roma con i sui Bersaglieri Lombardi, colpito a morte a villa Spada, muore nell’ultimo giorno di guerra.
Con lucida preveggenza aveva scritto ad un amico “per chiudere con dignità il ’48 noi dobbiamo morire”.
A mezzogiorno del 30 giugno fu chiesta le tregua per consentire il soccorso dei feriti e la raccolta dei morti.
Uno storico di parte papalina così descriveva il campo di battaglia: – “Dopo otto ore di fuoco e di carneficina (perché i Romani ebbero a deplorare oltre quattrocento morti e altrettanti se non più ebbero a deplorare i Francesi) cessò il cozzo delle armi.
Le vittime dei dissidi politici languivan sul campo rosseggiante di sangue, seminato di membra infrante, divenuto baccano orrendo di grida disperate, di bestemmie e di pianto” –
Mazzini presentò all’Assemblea tre proposte: fare saltare i ponti per continuare la difesa nei quartieri a sinistra del Tevere, l’uscita in massa dell’esercito per continuare la guerra nell’Umbria e nelle Marche contro gli Austriaci, trattare la resa .
La discussione fu aspra e contrastata ma la prima proposta fu presto scartata in quanto i Francesi, che temevano i combattimenti per le strade, sarebbero ricorsi a massicci bombardamenti, con tragiche distruzioni dei quartieri popolari.
I capi dell’esercito erano d’altra parte contrari all‘uscita dalla città perche giudicavano i loro corpi regolari non adatti a quella che sarebbe divenuta una guerriglia per bande.
Alla fine Cernuschi, altro eroe delle barricate nelle 5 giornate di Milano, avanzò la proposta di resa “dichiaro che il continuare la difesa è impossibile, che un ’inutile carneficina è la sola cosa che può seguitare, che i Francesi non hanno più ostacoli e che Roma e questo buon popolo, dopo tanti sacrifici, deve rassegnarsi alla loro occupazione.”
L’Assemblea approvò il decreto proposto “In nome di Dio e del Popolo , l’Assemblea Costituente romana cessa da una difesa divenuta impossibile e sta al suo posto”.
Mazzini contrario alla resa, si dimise insieme con Saffi e Armellini mentre Garibaldi annunciava l’intenzione di uscire dalla città con i volontari che avessero voluto seguirlo, per tentare di portare aiuto a Venezia che ancora resisteva all’assedio austriaco.
Prima della fine, nel giorno stesso dell’ingresso dei Francesi in città, dalla loggia del Campidoglio fu promulgata nel testo definitivo la Costituzione quale eccezionale testamento politico che la Repubblica Romana voleva lasciare agli italiani.
Era una Costituzione straordinariamente moderna, come avrebbero unanimemente giudicato gli storici anche nel confronto con le altre costituzioni europee dell’800.
Si proclamavano i principi fondamentali della democrazia fondati sulla sovranità come diritto etemo del popolo e sui capisaldi dell’uguaglianza, sulla fraternità a fronte dell’abolizione dei privilegi per nascita e casta, sulla fratellanza dei popoli nel rispetto della loro indipendenza.
La cerimonia della proclamazione resta vividamente descritta nelle cronache del tempo “L’assemblea ordinava che la nuova Costituzione venisse incisa su due tavole di marmo e posta al Campidoglio.
Era nel giorno stesso, era nell ’ora medesima che i Francesi entravano a Roma, che la Costituzione si promulgò, e fu un quadro maestoso quello che presentarono allora e popolo e deputati religiosamente raccolti su quel teatro d’italiana grandezza.
I rappresentanti erano `schierati intorno al Presidente dell ’Assemblea, il popolo accorso empieva tutta l’area e la via che davanti al Campidoglio si stendono.
Alla lettura di ogni articolo della Costituzione si innalzava il grido di “Viva la Repubblica”; e quando quella lettura fu finita , popolo e deputati proruppero in una lunga acclamazione che sanciva il nuovo patto nazionale, accomunando rappresentanti e rappresentati in una stessa fede, riassumendo i voti comuni e le comuni speranze”.
I deputati finita la cerimonia si ritirarono nella sala dell’Assemblea per aspettare di essere cacciati dalle baionette francesi.
La Repubblica Romana moriva militarmente e politicamente ma nella realtà era destinata a sopravvivere, condizionando e fermentando con il suo esempio tutta la storia del nostro Risorgimento.

(dall’intervento di Guglielmo Natalini del 2/7/09 all’Assemblea dell’Associazione A. Cipriani)